Mercoledì, 20 Luglio 2022 07:33
Il Regolamento (UE) 2021/784 sulla lotta alla diffusione di contenuti terroristici online
Con l'emergere di nuove e complesse minacce riguardanti diversi settori legati alla sicurezza transfrontaliera, è stata evidenziata la necessità di una più stretta cooperazione in materia di sicurezza su tutti i livelli. Per questo motivo, è stata messa in atto dalla Commissione la Strategia dell'Unione sulla sicurezza dell'UE 2020-2025 al fine di individuare le aree prioritarie in cui l'UE può supportare gli Stati membri nel promuovere la sicurezza per i cittadini europei, con la sua Agenda antiterrorismo. Sulla base di questa strategia è stata emanata la Raccomandazione (UE) 2018/334 della Commissione sulle misure per combattere efficacemente i contenuti illegali online, data la continua presenza di contenuti terroristici sul web.
Infatti, come ha sottolineato di recente la Commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, “con la recente sparatoria di massa in un supermercato di Buffalo, negli Stati Uniti, trasmessa online in live streaming, è chiaro che il nostro lavoro per rimuovere i contenuti terroristici online è fondamentale”. A tal fine è stato adottato il Regolamento (UE) 2021/784 del Parlamento europeo e del Consiglio dell'Unione europea sulla lotta alla diffusione di contenuti terroristici online, che è entrato in vigore il 7 giugno 2022.
I. OBIETTIVO
La Regolamentazione sui contenuti terroristici online risponde alla necessità di contrastare la diffusione di contenuti da parte di gruppi terroristici, la quale è finalizzata a rendere pubblico il loro messaggio, radicalizzare, reclutare seguaci, facilitare e dirigere l'attività terroristica. Un chiaro esempio di tali condotte illecite risulta essere quanto avvenuto a Nizza in relazione all'omicidio terroristico del professore francese Samuel Paty. Nei giorni seguenti all’attentato sono infatti avvenute alcune azioni simili.
I servizi di hosting hanno una particolare responsabilità sociale sia per garantire che i loro servizi non vengano utilizzati impropriamente da parte dei terroristi - poiché tali attività illegali determinano in generale delle gravi conseguenze negative per la società, minano la fiducia degli utenti dei servizi di hosting e danneggiano i loro modelli di business - sia per aiutare a limitare la diffusione di contenuti terroristici online. Tuttavia, questa responsabilità deve essere bilanciata dalla considerazione dell'importanza fondamentale della libertà di espressione, poiché i fornitori di servizi di hosting svolgono un ruolo essenziale nell'economia digitale facilitando il dibattito pubblico e la distribuzione e la ricezione di informazioni, opinioni e idee.
Di conseguenza, il regolamento, pur fornendo un quadro giuridico per rimuovere o disabilitare l'accesso ai contenuti terroristici, garantisce che ciò avvenga nel modo più trasparente possibile e che i servizi di hosting e i fornitori di contenuti abbiano accesso ad un ricorso effettivo contro un ordine o una decisione di rimozione.
II. PUNTI PRINCIPALI DELLA REGOLAMENTAZIONE
La Regola dell'Ora stabilisce che i fornitori di servizi di hosting devono rimuovere i contenuti terroristici o disabilitare l'accesso ai contenuti terroristici in tutti gli Stati membri entro un'ora dal ricevimento dell'ordine di rimozione da parte dell'autorità competente dello Stato membro. Qualora il prestatore di servizi di hosting non possa ottemperare all'ordine di rimozione per causa di forza maggiore o per impossibilità de facto giustificata da ragioni tecniche o operative, ne informa l'autorità competente che ha emesso l'ordine di rimozione. Qualora il servizio di hosting non possa ottemperare all'ordine di rimozione perché contiene errori manifesti o non contiene informazioni sufficienti per la sua esecuzione, ne informa l'autorità competente che ha emesso l'ordine di rimozione e chiede i necessari chiarimenti (articolo 3).
Il prestatore di servizi di hosting è obbligato a tutelare i propri servizi contro la diffusione al pubblico di contenuti terroristici in maniera diligente, proporzionata e non discriminatoria, con riguardo ai diritti fondamentali degli utenti quali la libertà di espressione e di informazione. Pertanto, è esentato dall’obbligo di rimozione il materiale diffuso a fini didattici, giornalistici o di ricerca (articolo 5).
Esiste poi un obbligo di trasparenza per la piattaforma online e per le autorità competenti di riferire annualmente e pubblicamente sulla quantità di contenuti terroristici rimossi, sugli esiti di denunce e ricorsi, nonché sul numero e sul tipo di sanzioni irrogate sulle piattaforme online (articoli 7 e 8)
Il diritto all'informazione consente al fornitore dei contenuti di chiedere al prestatore dei servizi di hosting i motivi della rimozione o della disabilitazione fornendogli copia dell'ordine di rimozione e del suo diritto di impugnare l'ordine o la decisione di rimozione (articolo 11).
Il servizio di hosting che ha ricevuto un ordine di rimozione o una decisione ha diritto a un ricorso effettivo, vale a dire il diritto di impugnare tale ordine o decisione di rimozione dinanzi al tribunale competente (articolo 9). Inoltre, i prestatori di servizi di hosting preservano i contenuti terroristici per sei mesi dalla rimozione o dalla disabilitazione, in quanto sono necessari per i procedimenti di riesame amministrativo e giudiziario, per la gestione dei reclami verso la decisione di rimuovere o disabilitare l'accesso ai contenuti terroristici e per la prevenzione, accertamento, indagine e il perseguimento dei reati di terrorismo (articolo 6).
Allo stesso modo, i fornitori dei contenuti che hanno subito una rimozione o il cui accesso è stato disabilitato, hanno il diritto di impugnare tale ordine o decisione di rimozione dinanzi al tribunale competente (articolo 9) o presentare un reclamo chiedendo il ripristino del contenuto o di accesso. Il prestatore di servizi di hosting è tenuto ad informare il denunciante dell'esito del reclamo entro 2 settimane dal ricevimento (articolo 10).
Si segnala inoltre un obbligo di cooperazione tra i prestatori di servizi di hosting, le autorità competenti ed Europol. Tali soggetti si scambiano informazioni, si coordinano e cooperano tra loro, al fine rafforzare il coordinamento su informazioni e azioni. Inoltre, quando i prestatori di servizi di hosting vengono a conoscenza di contenuti terroristici che comportano un'imminente minaccia per la vita, informano tempestivamente le autorità competenti per l'indagine e il perseguimento dei reati (articolo 14).
III. SANZIONE DI NON CONFORMITA’
Spetta agli Stati membri la definizione delle norme sulle sanzioni applicabili alle violazioni del presente Regolamento da parte dei prestatori di servizi di hosting, tenendo conto delle circostanze pertinenti come le precedenti violazioni, del fatto che l'infrazione sia stata intenzionale o colposa e delle dimensioni della piattaforma, al fine di garantire che le sanzioni siano proporzionate, secondo l'articolo 49 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE. La Commissione Europea, ha affermato che le sanzioni pecuniarie possono arrivare fino al 4% del fatturato della piattaforma.
Pertanto, questa regolamentazione integra il Codice di condotta per combattere l'illegale incitamento all'odio razzista e xenofobo online, lanciato a maggio 2016 con quattro grandi società di Informatica (Facebook, Microsoft, Twitter e Youtube) poiché tale comportamento è spesso all'origine di successive azioni terroristiche.
Infatti, come ha sottolineato di recente la Commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, “con la recente sparatoria di massa in un supermercato di Buffalo, negli Stati Uniti, trasmessa online in live streaming, è chiaro che il nostro lavoro per rimuovere i contenuti terroristici online è fondamentale”. A tal fine è stato adottato il Regolamento (UE) 2021/784 del Parlamento europeo e del Consiglio dell'Unione europea sulla lotta alla diffusione di contenuti terroristici online, che è entrato in vigore il 7 giugno 2022.
I. OBIETTIVO
La Regolamentazione sui contenuti terroristici online risponde alla necessità di contrastare la diffusione di contenuti da parte di gruppi terroristici, la quale è finalizzata a rendere pubblico il loro messaggio, radicalizzare, reclutare seguaci, facilitare e dirigere l'attività terroristica. Un chiaro esempio di tali condotte illecite risulta essere quanto avvenuto a Nizza in relazione all'omicidio terroristico del professore francese Samuel Paty. Nei giorni seguenti all’attentato sono infatti avvenute alcune azioni simili.
I servizi di hosting hanno una particolare responsabilità sociale sia per garantire che i loro servizi non vengano utilizzati impropriamente da parte dei terroristi - poiché tali attività illegali determinano in generale delle gravi conseguenze negative per la società, minano la fiducia degli utenti dei servizi di hosting e danneggiano i loro modelli di business - sia per aiutare a limitare la diffusione di contenuti terroristici online. Tuttavia, questa responsabilità deve essere bilanciata dalla considerazione dell'importanza fondamentale della libertà di espressione, poiché i fornitori di servizi di hosting svolgono un ruolo essenziale nell'economia digitale facilitando il dibattito pubblico e la distribuzione e la ricezione di informazioni, opinioni e idee.
Di conseguenza, il regolamento, pur fornendo un quadro giuridico per rimuovere o disabilitare l'accesso ai contenuti terroristici, garantisce che ciò avvenga nel modo più trasparente possibile e che i servizi di hosting e i fornitori di contenuti abbiano accesso ad un ricorso effettivo contro un ordine o una decisione di rimozione.
II. PUNTI PRINCIPALI DELLA REGOLAMENTAZIONE
La Regola dell'Ora stabilisce che i fornitori di servizi di hosting devono rimuovere i contenuti terroristici o disabilitare l'accesso ai contenuti terroristici in tutti gli Stati membri entro un'ora dal ricevimento dell'ordine di rimozione da parte dell'autorità competente dello Stato membro. Qualora il prestatore di servizi di hosting non possa ottemperare all'ordine di rimozione per causa di forza maggiore o per impossibilità de facto giustificata da ragioni tecniche o operative, ne informa l'autorità competente che ha emesso l'ordine di rimozione. Qualora il servizio di hosting non possa ottemperare all'ordine di rimozione perché contiene errori manifesti o non contiene informazioni sufficienti per la sua esecuzione, ne informa l'autorità competente che ha emesso l'ordine di rimozione e chiede i necessari chiarimenti (articolo 3).
Il prestatore di servizi di hosting è obbligato a tutelare i propri servizi contro la diffusione al pubblico di contenuti terroristici in maniera diligente, proporzionata e non discriminatoria, con riguardo ai diritti fondamentali degli utenti quali la libertà di espressione e di informazione. Pertanto, è esentato dall’obbligo di rimozione il materiale diffuso a fini didattici, giornalistici o di ricerca (articolo 5).
Esiste poi un obbligo di trasparenza per la piattaforma online e per le autorità competenti di riferire annualmente e pubblicamente sulla quantità di contenuti terroristici rimossi, sugli esiti di denunce e ricorsi, nonché sul numero e sul tipo di sanzioni irrogate sulle piattaforme online (articoli 7 e 8)
Il diritto all'informazione consente al fornitore dei contenuti di chiedere al prestatore dei servizi di hosting i motivi della rimozione o della disabilitazione fornendogli copia dell'ordine di rimozione e del suo diritto di impugnare l'ordine o la decisione di rimozione (articolo 11).
Il servizio di hosting che ha ricevuto un ordine di rimozione o una decisione ha diritto a un ricorso effettivo, vale a dire il diritto di impugnare tale ordine o decisione di rimozione dinanzi al tribunale competente (articolo 9). Inoltre, i prestatori di servizi di hosting preservano i contenuti terroristici per sei mesi dalla rimozione o dalla disabilitazione, in quanto sono necessari per i procedimenti di riesame amministrativo e giudiziario, per la gestione dei reclami verso la decisione di rimuovere o disabilitare l'accesso ai contenuti terroristici e per la prevenzione, accertamento, indagine e il perseguimento dei reati di terrorismo (articolo 6).
Allo stesso modo, i fornitori dei contenuti che hanno subito una rimozione o il cui accesso è stato disabilitato, hanno il diritto di impugnare tale ordine o decisione di rimozione dinanzi al tribunale competente (articolo 9) o presentare un reclamo chiedendo il ripristino del contenuto o di accesso. Il prestatore di servizi di hosting è tenuto ad informare il denunciante dell'esito del reclamo entro 2 settimane dal ricevimento (articolo 10).
Si segnala inoltre un obbligo di cooperazione tra i prestatori di servizi di hosting, le autorità competenti ed Europol. Tali soggetti si scambiano informazioni, si coordinano e cooperano tra loro, al fine rafforzare il coordinamento su informazioni e azioni. Inoltre, quando i prestatori di servizi di hosting vengono a conoscenza di contenuti terroristici che comportano un'imminente minaccia per la vita, informano tempestivamente le autorità competenti per l'indagine e il perseguimento dei reati (articolo 14).
III. SANZIONE DI NON CONFORMITA’
Spetta agli Stati membri la definizione delle norme sulle sanzioni applicabili alle violazioni del presente Regolamento da parte dei prestatori di servizi di hosting, tenendo conto delle circostanze pertinenti come le precedenti violazioni, del fatto che l'infrazione sia stata intenzionale o colposa e delle dimensioni della piattaforma, al fine di garantire che le sanzioni siano proporzionate, secondo l'articolo 49 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE. La Commissione Europea, ha affermato che le sanzioni pecuniarie possono arrivare fino al 4% del fatturato della piattaforma.
Pertanto, questa regolamentazione integra il Codice di condotta per combattere l'illegale incitamento all'odio razzista e xenofobo online, lanciato a maggio 2016 con quattro grandi società di Informatica (Facebook, Microsoft, Twitter e Youtube) poiché tale comportamento è spesso all'origine di successive azioni terroristiche.
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Martedì, 05 Luglio 2022 14:05
La proposta di direttiva Ue sul salario minimo
A causa della recessione economica conseguente alla crisi scatenata dal Covid-19, che ha colpito i settori con una quota maggiore di lavoratori a basso reddito e dell'inflazione record dovuta alla guerra in Ucraina, l'Unione Europea è stata sollecitata a trovare un compromesso per garantire che i salari minimi siano fissati ad un livello adeguato e i lavoratori possano guadagnarsi da vivere dignitosamente.
Questo progetto era già in cantiere da diversi anni. Nel 2017, l’emanazione del Pilastro Europeo dei Diritti Sociali e, più nello specifico, del principio riguardante il salario minimo adeguato e la trasparenza nella fissazione dei salari, è servita come base per la consultazione delle parti sociali su come garantire salari minimi adeguati ai lavoratori dell'Unione Europea. Il 7 giugno 2022 è stato raggiunto un accordo politico provvisorio sulla bozza di direttiva sui salari minimi adeguati nell'UE.
Avere un’armonizzazione normativa tra gli Stati Membri in tema di salario minimo contribuisce, da una prospettiva economica, ad una prosperità nell'economia sociale di mercato e ad una ripresa economica sostenibile e inclusiva, mentre da una prospettiva sociale, sostiene il progresso sociale e la parità di genere poiché più donne che uomini guadagnano salari inferiori o vicini al salario minimo.
I. I DIVERSI MECCASISMI DI TUTELA DEL SALARIO MINIMO NELL'UE.
La protezione del salario minimo esiste in tutti gli Stati Membri, ma viene applicata in modo diverso all’interno dell’Unione.
Di fatto, per ventuno Stati esiste una tutela legale sui salari minimi di legge complementare ai contratti collettivi. Ad esempio, in Spagna il salario minimo è di 1000 euro ed è stato aumentato a seguito di un accordo intercorso tra i partner di governo della coalizione e le due principali organizzazioni sindacali del Paese.
Per gli altri sei Stati membri, la protezione è assicurata esclusivamente attraverso contratti collettivi. Pertanto, in paesi come l’Austria, i contratti collettivi sono negoziati dai sindacati e dalla Camera di Commercio. In Italia invece, le retribuzioni del lavoratore nel settore privato sono stabilite da accordi collettivi tra sindacati e imprese. Su richiesta, i giudici possono anche fissare un salario minimo, vincolante solo per le parti di un contratto individuale di lavoro. Per quanto riguarda il settore pubblico, l'Aran (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni) rappresenta i datori di lavoro della pubblica amministrazione nelle attività negoziali.
In pratica, tuttavia, molti lavoratori attualmente non sono tutelati da salari minimi adeguati, soprattutto negli Stati membri che fanno affidamento esclusivamente sulla contrattazione collettiva. Tuttavia, attualmente i salari minimi previsti dalle normative nazionali degli stati UE, non possono essere considerati adeguati a garantire una vita dignitosa dei lavoratori, nonostante siano aumentati negli ultimi anni. A conferma di ciò, nel 2018 un terzo degli Stati UE non riusciva a garantire un salario minimo nazionale idoneo a superare la soglia di rischio povertà. Ciò è in parte dovuto al fatto che non tutti gli Stati membri utilizzano un meccanismo di adeguamento salariale automatico, basato sulle fluttuazioni dei prezzi dei beni di consumo, o lo utilizzano solo per alcuni settori. Inoltre, specifiche categorie di lavoratori sono esclusi dalla protezione dei salari minimi previsti dalla legge nazionale.
II. LA FONTE NORMATIVA.
Il diritto a un salario minimo adeguato trova un riferimento normativo all’interno del 6° principio del Pilastro Europeo dei Diritti Sociali, proclamato dall'Unione Europea nel 2017, il quale afferma che “i lavoratori hanno diritto a salari equi che garantiscano un tenore di vita dignitoso. Devono essere garantiti salari minimi adeguati […] Deve essere prevenuta la povertà lavorativa. I salari devono essere fissati in modo trasparente e prevedibile […] secondo le prassi nazionali e nel rispetto dell'autonomia delle parti sociali”.
Sulla base di questo pilastro, la Commissione ha proposto una direttiva sui salari minimi adeguati, basata sull'articolo 153, paragrafo 1, lettera b), del TFUE sulle condizioni di lavoro, unitamente all'articolo 31, paragrafo 1, della Carta dei Diritti Fondamentali dell'UE affermando che “ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro rispettose della sua salute, sicurezza e dignità”. Queste due disposizioni normative consentono all'UE, secondo il principio di sussidiarietà, di sostenere e integrare l'azione degli Stati membri sulle condizioni di lavoro, poiché esistono "grandi differenze negli standard per l'accesso a un salario minimo adeguato" creando "importanti discrepanze nel mercato”, come affermato dalla Commissione Europea.
III. IL CONTENUTO DELLA NUOVA PROPOSTA DI DIRETTIVA.
I contenuti sostanziali della proposta di direttiva, riguardano 6 punti che dovrebbero essere applicati e recepiti da tutti gli Stati membri.
1. Gli Stati membri promuovono la contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari, promuovendo la costruzione e il rafforzamento della capacità delle parti sociali di impegnarsi nella contrattazione collettiva e incoraggiando la negoziazione sui salari. Inoltre, laddove la copertura della contrattazione collettiva sia inferiore alla soglia del 70%, gli Stati devono prevedere un quadro di condizioni abilitanti alla contrattazione collettiva e incoraggiarla (articolo 4);
2. I 21 Stati membri con salario minimo legale sono tenuti a mettere in atto un quadro procedurale per stabilire un aggiornamento, negoziato tra lo Stato e le parti sociali, sul salario minimo di legge, il quale è richiesto almeno ogni due anni, o al massimo ogni quattro anni per Stati che utilizzano un meccanismo di aggiornamento automatico (articolo 5);
3. Qualora fossero consentiti diversi livelli di salario minimo di legge per specifiche categorie di lavoratori, tali variazioni devono essere ridotte al minimo e non essere discriminatorie, sproporzionate ed oggettivamente e ragionevolmente giustificate da una finalità legittima (articolo 6);
4. Inoltre, gli Stati membri assicurano che le parti sociali siano coinvolte in modo tempestivo ed efficace nella fissazione del salario minimo di legge e siano aggiornate, in particolare, per quanto riguarda la determinazione dei livelli salariali minimi di legge o la determinazione delle variazioni e delle riduzioni del salario minimo di legge (articolo 7);
5. Gli Stati membri devono implementare la tutela effettiva del diritto dei lavoratori al salario minimo di legge, rafforzando i controlli e le ispezioni sul campo condotti dagli ispettorati del lavoro, attraverso monitoraggi, controlli ed ispezioni sul campo per prevenire fenomeni di subappalto abusivo, di lavoro autonomo fittizio e di mancato riconoscimento degli straordinari – (articolo 8) ed assicurando che le informazioni sui salari minimi di legge siano facilmente accessibili (articolo 10a);
6. Infine, la Direttiva garantisce che i lavoratori abbiano accesso ad una risoluzione effettiva e imparziale delle controversie ed al risarcimento in caso di violazione dei loro diritti relativi al salario minimo di legge. Inoltre, vengono adottate le misure necessarie per tutelare i lavoratori da qualsiasi trattamento sfavorevole da parte del datore di lavoro e da eventuali conseguenze negative derivanti da un reclamo o un procedimento in merito ai diritti relativi al salario minimo di legge (articolo 11).
Al riguardo, l'accordo raggiunto il 7 giugno dovrà essere confermato dal Coreper. Questa approvazione sarà seguita da una votazione formale del Consiglio e del Parlamento Europeo. Gli Stati membri e le parti sociali avranno quindi due anni dopo l'adozione della Direttiva per recepirla e comunicare alla Commissione le misure nazionali di attuazione.
Questo progetto era già in cantiere da diversi anni. Nel 2017, l’emanazione del Pilastro Europeo dei Diritti Sociali e, più nello specifico, del principio riguardante il salario minimo adeguato e la trasparenza nella fissazione dei salari, è servita come base per la consultazione delle parti sociali su come garantire salari minimi adeguati ai lavoratori dell'Unione Europea. Il 7 giugno 2022 è stato raggiunto un accordo politico provvisorio sulla bozza di direttiva sui salari minimi adeguati nell'UE.
Avere un’armonizzazione normativa tra gli Stati Membri in tema di salario minimo contribuisce, da una prospettiva economica, ad una prosperità nell'economia sociale di mercato e ad una ripresa economica sostenibile e inclusiva, mentre da una prospettiva sociale, sostiene il progresso sociale e la parità di genere poiché più donne che uomini guadagnano salari inferiori o vicini al salario minimo.
I. I DIVERSI MECCASISMI DI TUTELA DEL SALARIO MINIMO NELL'UE.
La protezione del salario minimo esiste in tutti gli Stati Membri, ma viene applicata in modo diverso all’interno dell’Unione.
Di fatto, per ventuno Stati esiste una tutela legale sui salari minimi di legge complementare ai contratti collettivi. Ad esempio, in Spagna il salario minimo è di 1000 euro ed è stato aumentato a seguito di un accordo intercorso tra i partner di governo della coalizione e le due principali organizzazioni sindacali del Paese.
Per gli altri sei Stati membri, la protezione è assicurata esclusivamente attraverso contratti collettivi. Pertanto, in paesi come l’Austria, i contratti collettivi sono negoziati dai sindacati e dalla Camera di Commercio. In Italia invece, le retribuzioni del lavoratore nel settore privato sono stabilite da accordi collettivi tra sindacati e imprese. Su richiesta, i giudici possono anche fissare un salario minimo, vincolante solo per le parti di un contratto individuale di lavoro. Per quanto riguarda il settore pubblico, l'Aran (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni) rappresenta i datori di lavoro della pubblica amministrazione nelle attività negoziali.
In pratica, tuttavia, molti lavoratori attualmente non sono tutelati da salari minimi adeguati, soprattutto negli Stati membri che fanno affidamento esclusivamente sulla contrattazione collettiva. Tuttavia, attualmente i salari minimi previsti dalle normative nazionali degli stati UE, non possono essere considerati adeguati a garantire una vita dignitosa dei lavoratori, nonostante siano aumentati negli ultimi anni. A conferma di ciò, nel 2018 un terzo degli Stati UE non riusciva a garantire un salario minimo nazionale idoneo a superare la soglia di rischio povertà. Ciò è in parte dovuto al fatto che non tutti gli Stati membri utilizzano un meccanismo di adeguamento salariale automatico, basato sulle fluttuazioni dei prezzi dei beni di consumo, o lo utilizzano solo per alcuni settori. Inoltre, specifiche categorie di lavoratori sono esclusi dalla protezione dei salari minimi previsti dalla legge nazionale.
II. LA FONTE NORMATIVA.
Il diritto a un salario minimo adeguato trova un riferimento normativo all’interno del 6° principio del Pilastro Europeo dei Diritti Sociali, proclamato dall'Unione Europea nel 2017, il quale afferma che “i lavoratori hanno diritto a salari equi che garantiscano un tenore di vita dignitoso. Devono essere garantiti salari minimi adeguati […] Deve essere prevenuta la povertà lavorativa. I salari devono essere fissati in modo trasparente e prevedibile […] secondo le prassi nazionali e nel rispetto dell'autonomia delle parti sociali”.
Sulla base di questo pilastro, la Commissione ha proposto una direttiva sui salari minimi adeguati, basata sull'articolo 153, paragrafo 1, lettera b), del TFUE sulle condizioni di lavoro, unitamente all'articolo 31, paragrafo 1, della Carta dei Diritti Fondamentali dell'UE affermando che “ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro rispettose della sua salute, sicurezza e dignità”. Queste due disposizioni normative consentono all'UE, secondo il principio di sussidiarietà, di sostenere e integrare l'azione degli Stati membri sulle condizioni di lavoro, poiché esistono "grandi differenze negli standard per l'accesso a un salario minimo adeguato" creando "importanti discrepanze nel mercato”, come affermato dalla Commissione Europea.
III. IL CONTENUTO DELLA NUOVA PROPOSTA DI DIRETTIVA.
I contenuti sostanziali della proposta di direttiva, riguardano 6 punti che dovrebbero essere applicati e recepiti da tutti gli Stati membri.
1. Gli Stati membri promuovono la contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari, promuovendo la costruzione e il rafforzamento della capacità delle parti sociali di impegnarsi nella contrattazione collettiva e incoraggiando la negoziazione sui salari. Inoltre, laddove la copertura della contrattazione collettiva sia inferiore alla soglia del 70%, gli Stati devono prevedere un quadro di condizioni abilitanti alla contrattazione collettiva e incoraggiarla (articolo 4);
2. I 21 Stati membri con salario minimo legale sono tenuti a mettere in atto un quadro procedurale per stabilire un aggiornamento, negoziato tra lo Stato e le parti sociali, sul salario minimo di legge, il quale è richiesto almeno ogni due anni, o al massimo ogni quattro anni per Stati che utilizzano un meccanismo di aggiornamento automatico (articolo 5);
3. Qualora fossero consentiti diversi livelli di salario minimo di legge per specifiche categorie di lavoratori, tali variazioni devono essere ridotte al minimo e non essere discriminatorie, sproporzionate ed oggettivamente e ragionevolmente giustificate da una finalità legittima (articolo 6);
4. Inoltre, gli Stati membri assicurano che le parti sociali siano coinvolte in modo tempestivo ed efficace nella fissazione del salario minimo di legge e siano aggiornate, in particolare, per quanto riguarda la determinazione dei livelli salariali minimi di legge o la determinazione delle variazioni e delle riduzioni del salario minimo di legge (articolo 7);
5. Gli Stati membri devono implementare la tutela effettiva del diritto dei lavoratori al salario minimo di legge, rafforzando i controlli e le ispezioni sul campo condotti dagli ispettorati del lavoro, attraverso monitoraggi, controlli ed ispezioni sul campo per prevenire fenomeni di subappalto abusivo, di lavoro autonomo fittizio e di mancato riconoscimento degli straordinari – (articolo 8) ed assicurando che le informazioni sui salari minimi di legge siano facilmente accessibili (articolo 10a);
6. Infine, la Direttiva garantisce che i lavoratori abbiano accesso ad una risoluzione effettiva e imparziale delle controversie ed al risarcimento in caso di violazione dei loro diritti relativi al salario minimo di legge. Inoltre, vengono adottate le misure necessarie per tutelare i lavoratori da qualsiasi trattamento sfavorevole da parte del datore di lavoro e da eventuali conseguenze negative derivanti da un reclamo o un procedimento in merito ai diritti relativi al salario minimo di legge (articolo 11).
Al riguardo, l'accordo raggiunto il 7 giugno dovrà essere confermato dal Coreper. Questa approvazione sarà seguita da una votazione formale del Consiglio e del Parlamento Europeo. Gli Stati membri e le parti sociali avranno quindi due anni dopo l'adozione della Direttiva per recepirla e comunicare alla Commissione le misure nazionali di attuazione.
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