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Il nuovo Codice dello Spettacolo: tra riforme, proroghe e polemiche

Ago 15 2024 Claudio Scaramella

Verso il termine della XVIII legislatura, è stata approvata ed è entrata in vigore la legge 15 luglio 2022, n. 106, recante "Delega al Governo e altre disposizioni in materia di spettacolo".

Composta di 12 articoli, la legge suddetta contiene disposizioni sistemiche, volte sia a ridefinire la governance complessiva del settore, sia a disciplinare i profili di più stretta attinenza lavoristica, previdenziale e assistenziale, prevedendo l'introduzione di strumenti di welfare specifici per i lavoratori dello spettacolo, riconoscendo la peculiarità delle loro condizioni lavorative e prevedendo tutele che tengano conto della discontinuità e della fragilità occupazionale tipica del settore.

Negli ultimi mesi, dunque, il dibattito sulla riforma delle fondazioni lirico-sinfoniche italiane è divenuto sempre più acceso, dato che il nuovo Codice dello Spettacolo punta a modificare la governance delle fondazioni aumentando il controllo statale e limitando l'influenza di sindaci e sovrintendenti.

Questa importante riforma, tuttavia, non si colloca in un vuoto temporale, ma si sviluppa in un contesto particolarmente delicato, segnato dalla crisi pandemica e post-pandemica che, come noto, ha duramente colpito tutto il settore della cultura, mettendo in ulteriore risalto la fragilità del sistema teatrale italiano e aprendo al contempo nuove possibilità di riflessione su come ristrutturarlo e renderlo più resiliente. Il teatro, infatti, non è solo intrattenimento: si tratta di una forma d’arte che riflette e plasma la nostra identità collettiva.

La riforma sistemica del settore appare quantomai necessaria per mettere fine a una gestione inefficace - e talvolta corrotta - delle risorse pubbliche destinate alla lirica.

Le disposizioni del nuovo Codice devono essere pensate per modificare la governance delle fondazioni e centralizzare maggiormente il controllo statale, riducendo il potere decisionale dei sindaci e dei sovrintendenti e introducendo nuovi criteri per la nomina dei consiglieri d'amministrazione.

Più nel dettaglio, la riforma prevede un secondo consigliere di amministrazione di nomina governativa volta, più o meno implicitamente, ad indebolire l'influenza dei sindaci nelle decisioni strategiche delle fondazioni. Questo punto è stato particolarmente criticato dai primi cittadini delle città sedi di importanti teatri, che vedono in questa mossa un tentativo di espropriazione delle loro storiche prerogative.

La separazione dei ruoli tra sovrintendente e direttore artistico, dal proprio canto, ha l’obiettivo di evitare la concentrazione di potere in un unico soggetto. Tale separazione dovrebbe portare, come sua naturale conseguenza, a una gestione più specializzata e meno soggetta a conflitti di interesse.

Il nuovo Codice prevede inoltre una maggiore supervisione del consiglio di amministrazione sulle attività dei sovrintendenti, i quali, secondo la nuova normativa, non saranno più figure plenipotenziarie ma dovranno rispondere al consiglio su decisioni strategiche, bilanci e gestione delle risorse, in virtù della necessità di promuovere la trasparenza e prevenire abusi di potere, come quelli che in passato hanno danneggiato gravemente le finanze di alcune tra le più importanti fondazioni italiane.

Tali modifiche hanno suscitato forti reazioni da parte di sindaci, amministratori locali e, recentemente, da una parte della stampa di segno politico contrario rispetto all’attuale governo. In più di un’occasione, si è letto di un "rastrellamento di potere" da parte del governo e dell’eventualità che le fondazioni vengano ridotte a meri strumenti di propaganda politica.

Le preoccupazioni, seppur faziosamente esposte, inquadrano un rischio reale: quello della perdita di autonomia e del depotenziamento delle funzioni degli amministratori territoriali all'interno delle fondazioni di riferimento, minando il legame storico e culturale con le comunità locali.

Ciononostante, la riforma è volta a modernizzare e razionalizzare il ruolo delle fondazioni lirico-sinfoniche, garantendo una gestione più trasparente e responsabile delle risorse pubbliche, spesso messe a rischio da una cattiva amministrazione.

Non da ultimo, una delle sfide più significative che emergono dal nuovo Codice dello Spettacolo riguarda la ridefinizione del ruolo dell’artista nell’era moderna. Nel contesto globale, l’artista non può più limitarsi a essere un creatore d’arte; deve considerarsi un imprenditore di sé stesso o, ancor più propriamente, come una vera e propria azienda. Questo implica l’acquisizione di competenze manageriali, di marketing e di comunicazione, necessarie per inserirsi nell’industria dell’arte in modo competitivo.

Su proposta del Consiglio dei Ministri, la Camera dei Deputati ha da poco approvato la legge che proroga di un anno il termine per l’esercizio delle deleghe previste dall’articolo 2 della legge n. 106/2022. La scadenza del termine era prevista per il prossimo 18 agosto 2024, ovvero dopo 24 mesi dall’approvazione ed è stato ridefinito al 18 agosto 2025.

Com’era prevedibile, la proroga ha alimentato ulteriori polemiche, perché ha determinato la permanenza in vigore pratiche obsolete, ritardando ulteriormente l'adozione di norme più moderne e adeguate alle esigenze degli operatori del settore.

Al netto della cautela e dell’inclusività sociale e politica che devono essere implementate in tutti i tavoli di lavoro che antecedono la redazione del nuovo Codice, appare evidente che lo sforzo politico, generalizzato e condiviso, debba tendere al superamento delle vecchie logiche di potere, alla riduzione dell’influenza di lobby consolidate e alla valorizzazione del futuro di una parte fondamentale del patrimonio culturale italiano, nel segno della meritocrazia e dell’innovazione.

Tuttavia, queste riforme devono essere accompagnate da un supporto concreto al settore, che comprenda incentivi per la ripresa e l’innovazione, investimenti nella formazione e nella digitalizzazione.

Il contesto post-pandemico richiede un ripensamento del ruolo del teatro e delle arti performative nella società contemporanea. Non si tratta solo di ripristinare ciò che è stato perso, ma di andare oltre al vecchio assetto, creando un nuovo modello culturale capace di rispondere alle sfide del nostro tempo, dove le scelte artistiche e gestionali siano basate sul talento e - ancor di più - sui risultati piuttosto che su logiche di appartenenza.

In un settore, tutt’altro che di nicchia, in cui i giochi di potere e i favoritismi hanno spesso prevalso sul merito, il Codice mira a valorizzare il talento e l'impegno individuale. Ma la meritocrazia non potrà limitarsi alla selezione dei dirigenti delle fondazioni, dovendo necessariamente estendersi a tutti gli aspetti della gestione culturale, compresa la distribuzione delle risorse, la programmazione artistica e la selezione dei progetti da finanziare.

Il Codice dello Spettacolo, dunque, non è solo un insieme di norme tecniche, ma rappresenta una grande scommessa per il futuro della cultura italiana. L’esito di questa riforma avrà un impatto significativo sul settore culturale e artistico del Paese, determinando se l’Italia riuscirà a mantenere il passo con le tendenze internazionali e a valorizzare pienamente il suo inestimabile patrimonio culturale.



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